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Le parole e il bastone. La libertà di opinione nella società della disuguaglianza.

Le parole e il bastone. La libertà di opinione nella società della disuguaglianza.

La citazione di Luigi Fabbri tratta da “Dittatura e rivoluzione” e pubblicata nel redazionale apparso nel numero 18 di Umanità Nova di quest’anno, è stata d’ispirazione per l’argomento che sarà affrontato in quest’articolo: la libertà di opinione e di parola in uno stato liberal-democratico e capitalista.

Quando un membro del governo o una qualsiasi persona che si trova in una posizione di potere (politico, economico, religioso, culturale…) viene contestata, che sia durante un comizio o la promozione di un proprio prodotto da vendere, una campagna elettorale o una presentazione di un libro, viene sempre rivendicato il diritto della libertà di pensiero e di parola.

Un esempio recente è stato il Salone del libro di Torino. Un gruppo di attiviste di Non Una Di Meno ed Extinction Rebellion, insieme a EsseNon, Ecologia Politica e Fridays For Future, contestano la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella durante la presentazione di un suo libro. Le attiviste hanno colto l’occasione per porre sotto i riflettori le politiche dannose che governo e regioni stanno portando avanti, conducendoci verso il disastro ambientale (pochi giorni prima c’è stata l’alluvione in Emilia Romagna); inoltre hanno contestato le politiche antiabortiste (di cui la ministra Roccella è una fervente sostenitrice) attuate sempre da governo e regioni, evidenziando l’alto numero di obiettori di coscienza che si trovano all’interno degli ospedali. Sono stati lanciati slogan e innalzati cartelli, poi un’attivista è salita sul palco per leggere un loro comunicato.

Ed ecco ripartire il solito concerto di affermazioni che siamo sempre costretti a sentire in queste occasioni: violazione della libertà di opinione, atteggiamento autoritario, intolleranza e tutto il piagnisteo padronale e del potere a cui siamo purtroppo abituati. Rilevanti sono state le parole della presidente (anche se lei preferisce essere appellata al maschile, e questo rende chiara la cultura patriarcale di cui è intrisa) Giorgia Meloni: “quanto accaduto al Salone del libro di Torino è inaccettabile e fuori da ogni logica democratica. Altrettanto inaccettabile è l’operazione dei soliti noti di capovolgere i fatti, distorcendo la realtà e giustificando il tentativo di impedire a un ministro della Repubblica di esprimere le proprie opinioni. Come al solito chi pretende di darci lezioni di democrazia non ne conosce le regole basilari”.

Le affermazioni rilevanti al fine del nostro discorso sono “logica democratica” e “impedire a un ministro della Repubblica di esprimere le proprie opinioni”.

Tanto per cominciare la logica democratica si è ampiamente dispiegata nelle 29 denunce annunciate a mezzo stampa dalla Questura di Torino nei confronti delle attiviste, senza dimenticare le persone trascinate via con la forza, i telefoni sequestrati e gli zaini perquisiti. Questo dimostra che dietro la favola dello stato democratico e di diritto si nascondo i reali rapporti di forza all’interno del sistema, e questi non devono mai essere messi in discussione. Finché la contrarietà rimane astratta opinione siamo liberi di manifestarla, anzi questo contribuisce ulteriormente alla narrazione dominante di una società libera e pluralista, ma quando diventa reale azione contro gli elementi oppressivi e le condizioni di ingiustizia che condizionano le nostre vite, il monopolio della violenza dello stato si manifesta palesemente. Ovviamente la fase successiva è quella della criminalizzazione di chi protesta attraverso campagne mediatiche e di disinformazione martellante. Se non c’è una pronta e forte campagna di controinformazione le vittime vengono trasformate in carnefici.

La “logica democratica” è quella della democrazia rappresentativa, dove l’unico momento di “partecipazione” è la delega in bianco data a rappresentanti che siedono in parlamento e che hanno il compito di fare leggi. Quindi le classi subalterne possono certamente manifestare il loro pensiero, ma non possono andare oltre, perché la parte decisionale spetta al parlamento. Anche il governo, che ha il potere esecutivo, può emanare decreti legge (ampiamente utilizzati) e legislativi che sono atti aventi forza di legge. A questo punto diventa abbastanza logico che se queste classi tentano di forzare la mano per cercare di cambiare lo stato di cose esistente in maniera diretta verranno definite antidemocratiche. Leggi sul lavoro, sull’immigrazione, sulla libertà di scelta sui propri corpi non vanno bene? Non importa. Il governo ha la fiducia del parlamento eletto a maggioranza dal popolo (maggioranza che poi in realtà è una minoranza, visto anche l’alto tasso di astensione). Aspetta altri cinque anni e vota altri delegati, ovviamente sempre con mandato in bianco. Inoltre, la tendenza è quella di dare sempre più forza agli esecutivi e renderli sempre più decisionisti. Ho parlato specificatamente di classi subalterne perché ovviamente la classe borghese e capitalista ha una capacità maggiore di influenzare le decisioni, se non anche un legame diretto con le stanze del potere.

…impedire a un ministro della Repubblica di esprimere le proprie opinioni”. Questa retorica, usata nell’occasione dalla presidente del Consiglio, è stata ampiamente utilizzata, come già evidenziato all’inizio dell’articolo, da tutte le persone che si sono trovate a ricoprire posizioni di potere (politico, economico, religioso, militare…) e hanno ricevuto contestazioni da manifestanti durante comizi, presentazioni di libri, campagne elettorali, eventi pubblici in generale.

Ma ha senso che un ministro della Repubblica reclami la “libertà” di esprimere le proprie opinioni? E più in generale, si può parlare di libertà di opinione e di parola in una società gerarchica e dove esistono profonde disuguaglianze?

La libertà di pensiero e di parola rientra tra i diritti liberali; questi però in una società divisa in classi sociali diventano pura astrazione. Nella realtà in cui siamo costretti a vivere non è il pensiero o la parola che conta, sono i rapporti di forza. Un membro del governo ha il braccio armato dello stato per fare rispettare il suo “pensiero” con il relativo monopolio della violenza; può emanare atti aventi forza di legge, e attraverso la maggioranza parlamentare emanare leggi; controlla i principali canali mediatici e ha una capacità di propaganda e di influenza che il singolo individuo non può avere: pensiamo alle campagne razziste e xenofobe montate ad arte che sempre sugli stessi canali sono state portate avanti, per non parlare di quelle contro le classi sociali più povere. Anche guardando al potere religioso, sempre più spesso ci ritroviamo a vedere papa o altri membri del clero in televisione o nei principali media. Altro esempio può essere la propaganda militarista all’interno dello scuole. Importante poi è inoltre la diversità di forza economica: chi ha maggiore ricchezza ha la possibilità di comprarsi pubblicità e inserzioni, o addirittura essere proprietario degli stessi mezzi di comunicazione, raggiungendo così vaste fette di pubblico; chi invece non ne ha può al massimo raggiungere le persone più prossime. Questo rende ancora più forte la narrazione ufficiale della classe dominante capitalista, facendo sembrare la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, il fine di ogni cosa legato sempre al profitto, la schiavitù salariale, con tutto il carico di sofferenze, sfruttamento, ingiustizia e disastro ambientale che queste comportano, come eterne e insuperabili.

Quindi le classi subalterne come possono fare per far sentire la loro voce? Opponendo alla forza la forza, e questo è possibile attraverso l’unione e l’organizzazione: che sia quella sindacale della classe operaia all’interno del conflitto capitale-lavoro, oppure quelle create dalle realtà femministe e lgbtqia+, o quelle antirazziste, antifasciste e antimilitariste; la formazione di comitati che si oppongono ad opere inutili e dannose per l’ambiente; i movimenti ecologisti. Per gli/le sfruttat* e gli/le oppress* l’unico modo per far emergere le loro voci è unirle, per creare una forza in grado di farsi sentire ed opporsi alla forza di chi ha il potere.

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo”. Ma è sempre così? Finora abbiamo preso in considerazione le differenze tra chi ha potere, ricchezza, notorietà e chi no. Ma se un Mario Adinolfi qualunque va in giro a promuovere il suo libro antiabortista contro la libertà di poter decidere autonomamente sui propri corpi da parte delle donne, se altre persone diffondono idee razziste, fasciste, omolesbotransfobiche o contro le classi sociali più povere, difenderò sempre fino alla morte il loro diritto a dirlo? Certamente no. È inutile difendere la libertà di parola quando le idee che vai propagandando mettono in pericolo e tolgono la libertà stessa, creando ingiustizia sociale e disuguaglianze. Se, per esempio, con una manifestazione o un presidio, impediamo di far propagandare le proprie idee a un fascista, non limitiamo nessuna libertà, ma la difendiamo. Quindi, sicuramente difenderò la tua libertà di poter esprimere le proprie idee, ma se queste andranno a colpire le classi povere e oppresse, alimenteranno razzismo, sessismo, omofobia e intolleranza in generale, allora le combatterò… “fino alla morte”.

Per concludere, la libertà liberale di manifestare il proprio pensiero è una libertà individuale sancita da più o meno tutte le costituzioni liberal-democratiche, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ma in una realtà capitalista e gerarchica, dove esistono evidenti disuguaglianze di classe, di genere, di provenienza eccetera, questa libertà è largamente disattesa dai reali rapporti di forza che esistono all’interno del sistema. Soltanto in una società di libere ed eguali questa libertà potrà essere realmente applicata, perché il confronto sarà alla pari, la parola di un individuo avrà lo stesso potere di un altro e non ci saranno concentrazioni di potere che imporranno il loro pensiero come narrazione ufficiale, andando ad alimentare il conformismo. Senza anarchia la libertà di parola è pura astrazione.

È importante sottolineare che in questo articolo, come già detto, si parla delle contraddizioni della libertà di manifestazione del proprio pensiero all’interno degli stati liberal-democratici. Ci sono anche stati teocratici, totalitari e dittatoriali, dove queste pur minime libertà, anche nella loro forma più astratta, vengono negate, questo è bene evidenziarlo.

Marco Bianchi

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